Gli sviluppi recenti delle neuroscienze e il consolidamento della scienza dell’influenza come disciplina integrata hanno favorito un consistente incremento da parte di brand e aziende dell’impiego di modelli di marketing basati sull’influenza generata dagli stimoli e dalle percezioni che la nostra mente è in grado di produrre dietro opportune sollecitazioni. Simili stimoli sono di gran lunga più efficaci e amplificati se prodotti da individui in grado di esercitare una influenza consistente rispetto a specifici obiettivi di business dei brand, distribuiti attraverso le piattaforme Social e attraverso contenuti pertinenti rispetto agli obiettivi e ai bisogni dell’audience: gli influencer – termine stavolta impiegato nella sua accezione più vasta.
L’obiettivo è orientare il processo decisionale di acquisto attraverso pattern sempre più complessi e incentrati sul ruolo strategicamente essenziale giocato dai fattori emotivi e irrazionali che presiedono ai nostri impulsi.
Ma che nesso c’è tra influencer strategy e neuroscienze?
Una strategia di influencer marketing è la risultante di una serie di fattori strettamente interconnessi: timing, posizionamento, prodotto e rilevanza svolgono un ruolo centrale nel processo di distribuzione, amplificazione e condivisione di un messaggio rispetto ad uno specifico target. Tuttavia, esiste un ulteriore fattore che svolge una funzione cruciale nel processo di configurazione delle decisioni di acquisto: la connotazione emozionale di un messaggio, possibilmente veicolato al momento giusto ed alla audience giusta. In fondo siamo tutti creature emozionali; tendenzialmente prendiamo buona parte delle nostre decisioni su basi logiche e di buon senso, eppure quando subentra un impulso emozionale, con ogni buona probabilità, sarà quest’ultimo a determinare le nostre azioni, soprattutto in tema di acquisti ma anche in riferimento alle modalità con cui percepiamo un marchio, valutiamo l’appeal di un prodotto o la reputazione di un’azienda.
Nel 2009, Roger Dooley pubblicò un interessante post sul suo blog incentrato sul neuromarketing. Il titolo non lasciava ombra di dubbio: Emotional Ads Work Best. La tesi di questo articolo, fondata su una serie di dati tratti da uno studio dell’Institute of Practitioners in Advertising, è che i trigger emozionali dei messaggi pubblicitari dispongono di una capacità attrattiva e di un efficacia maggiore rispetto a qualsiasi altro format di comunicazione e tone of voice. In particolare, i brand che ricorrono a campagne pubblicitarie basate su contenuti emozionali producono risultati pari al doppio (31% rispetto al 16%) in termini di performance rispetto alle campagne con contenuti razionali o informativi o combinati. La ragione di una simile differenziazione risiede nella capacità del nostro cervello di processare gli input emozionali senza alcun processo cognitivo.
Al centro dei processi di influenza si trovano le storie – e le emozioni – che connettono un messaggio al nostro cervello. È in questa prospettiva che si comprende perché i contenuti creati all’interno di una influencer strategy generano connessioni che si trasformano in azioni specifiche e decisioni. Ma in che modo una storia e un contenuto può condizionare i nostri meccanismi decisionali? Esistono molteplici fattori tutti strettamente interconnessi:
- Neural coupling: è il fenomeno che si verifica ogni volta che i nostri neuroni sono attivati e ci consentono di vedere una storia o di interpretare un contenuto da una prospettiva nostra, che incentiva l’immedesimazione nell’esperienza e nel racconto stesso;
- Mirroring: le onde celebrali del pubblico riflettono quelle di un influencer nel momento in cui ascoltano una storia o fruiscono di un contenuto creato da quello stesso influencer. In pratica il nostro cervello tende ad emulare il pattern seguito dall’influencer, generando di fatto un senso di familiarità e intimità;
- Cortex Activity: ci sono due aree specifiche del nostro cervello – la Broca’s e la Wernicke’s area – che si attivano durante uno storytelling particolarmente efficace: mentre una parte del nostro cervello processa un discorso o un contenuto creato da un influencer, la Broca’s area, ossia la parte del nostro cervello che processa i nostri discorsi, è attivata come se il processo di creazione del contenuto e la fruizione stessa facessero capo ad un solo individuo. Non solo: una storia ben raccontata è in grado di attivare anche altre parti del nostro cervello, in particolare, la corteccia motoria, quella sensoriale e quella frontale. Il risultato? Un livello di coinvolgimento elevato dell’ascoltatore.
- Dopamine: quando un contenuto provoca emozioni, il cervello rilascia un neurotrasmettitore chiamato dopamina, che genera una sensazione di piacere e facilita i processi di memorizzazione. È su questa base che una storia – sia essa un contenuto, un messaggio, un video, un claim – possono essere lungamente ricordate dall’audience di riferimento anche a distanza di tempo.
In ultima analisi, lo storytelling di un influencer è in grado di far leva sui principi della immedesimazione, della familiarità, del coinvolgimento, del piacere e della memorizzazione: ed è su queste basi che il contenuto diviene veicolo di influenza.
Il potere dell’emozione deve essere considerato come uno strumento attraverso cui i brand possono creare relazioni e connessioni autentiche con il proprio mercato obiettivo trasformando l’iniziale influenza esercitata in una sorta di advocacy a medio-lungo termine. In altre parole, la leva emotiva è il fattore su cui brand e aziende possono gestire programmi di influenza che favoriscano uno shift da una stadio iniziale di buzz o di awareness verso programmi orientati al raggiungimento di risultati di lungo termine, dalla fidelizzazione all’acquisto, dalla brand ambassadorship ad attività di referall che danno nuova spinta e vigore al processo di acquisto, trasformandolo, di fatto, come un pattern complesso – o un loop – che non trova il suo unico compimento nella conversione.
Il match positivo tra brand e influencer – e tra influencer e audience di riferimento – è il fattore critico su cui è costruita una sapiente strategia di gestione della connessione emotiva. Una simile strategia trova una vasta pluralità di connessioni e sedimentazioni all’interno del vasto ecosistema dei Social, che hanno creato livelli di influenza dalle molteplici intensità – dal buzz all’awareness, dal desiderio all’acquisto, alla loyalty. Un ventaglio di opportunità per i brand, che devono imparare ad approcciarsi all’influenza come fattore emozionale, da un lato, e per gli influencer, dall’altro, che mettono in gioco la propria autorevolezza e credibilità creando contenuti e storie in grado di connettersi emotivamente con la propria audience consolidando così il proprio ruolo di guida nell’orientamento del processo decisionale di acquisto.
Non so perchè ma ogni volta che leggo la parola influencer penso alla vitamina c 🙂
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